Fonte: Robert Sheckley [1] – Isaac Asimov [2] – Dan Brown [3]
Il problema delle reazioni avverse ai “Vaccini” nelle donne sta suscitando serie preoccupazioni. Il 70% delle reazioni avverse si verifica nelle donne, causando problemi mestruali, emorragie, aborti spontanei e persino la morte nei bambini allattati dalle madri “Vaccinate”. Da ogni parte (non allineata alla propaganda di regime) ci si chiede se siamo in presenza di una deliberata “Disinfestazione del genere umano” a mezzo di terapie geniche mutanti.
Facciamo un attimo un passo indietro. La sovrappopolazione è un problema che viene da lontano. È dagli anni ’60 che se ne parla, quando la popolazione mondiale era la metà di quella attuale (3.7 miliardi contro gli attuali 7.9 miliardi). Il motivo è molto semplice e ben preciso:
- prima del 1700 il tasso di incremento della popolazione mondiale era lo +0.04% all’anno;
- fra il 1700 e la fine della Seconda Guerra Mondiale è cresciuto allo +0.55% all’anno;
- fra il 1950 e il 1968 è volato al +2.1% all’anno.
L’aumento ovviamente non è stato uniforme:
- +2,57% all’anno in Africa;
- +1,98% all’anno in Centro-Sud America;
- +1,71% all’anno in Asia;
- +1,10% all’anno in Nord America;
- +0,43% all’anno in Europa.
Viviamo comunque in un Mondo globalizzato e alla fine degli anni ’60 si è cominciato seriamente a spingere e pianificare una riduzione globale della popolazione, mediante la riduzione delle nascite. La Cina, la nazione più popolosa al Mondo, ha fatto da apripista nel 1979 con la “Politica del figlio unico”.
Torniamo ora alle terapie geniche mutanti, i famosi “Vaccini a mRNA / DNA” che stimolano la produzione della proteina Spike del Sars-Cov-2, e che dovranno essere categoricamente iniettati in tutta la popolazione mondiale ento la fine del 2022.
Parliamo quindi di (1) Moderna (CX-024414) 71% di reazioni avverse femminili, (2) Pfizer-BionTech (TOZINAMERAN) 77% di reazioni avverse femminili, (3) AstraZeneca (CHADOX1 NCOV-19) 75% di reazioni avverse femminili, (4) Janssen (AD26.COV2.S) 73% di reazioni avverse femminili.
Esaminiamo Pfizer-BionTech nello specifico. I suoi frammenti di mRNA, per essere trasportati con successo in giro per l’organismo (nessuno si illuda che restino localizzati nel punto di iniezione), devono essere incapsulati in nanoparticelle lipidiche (LNP). Le nanoparticelle usate si chiamano ALC-0315 e ALC-0159, e la Pfeizer stessa ha fornito all’EMA e al Ministero della Salute Britannico lo studio farmacocinetico (PF-07302048) di queste nanoparticelle, per determinarne la distribuzione nell’organismo, la concentrazione e i tempi di smaltimento.
Entro le prime 48 ore si verifica un preoccupante accumulo nel fegato, nella milza, nelle ghiandole surrenali e nelle ovaie. Dopo due settimane la concentrazione riportata è ancora al 25% del picco massimo, e ci vogliono 6 settimane per l’eliminazione completa.
Campione | 15min ⇵ | 1h ⇵ | 2h ⇵ | 4h ⇵ | 8h ⇵ | 24h ⇵ | 48h ⇵ |
---|---|---|---|---|---|---|---|
Sito di iniezione | 128.000 | 394.000 | 311.000 | 338.000 | 213.000 | 195.000 | 165.000 |
Fegato | 0.737 | 4.630 | 11.000 | 16.500 | 26.500 | 19.200 | 24.300 |
Milza | 0.334 | 2.470 | 7.730 | 10.300 | 22.100 | 20.100 | 23.400 |
Ghiandole surrenali | 0.271 | 1.480 | 2.720 | 2.890 | 6.800 | 13.800 | 18.200 |
Ovaie (femmine) | 0.104 | 1.340 | 1.640 | 2.340 | 3.090 | 5.240 | 12.300 |
Midollo osseo (femore) | 0.479 | 0.960 | 1.240 | 1.240 | 1.840 | 2.490 | 3.770 |
Intestino tenue | 0.030 | 0.221 | 0.476 | 0.879 | 1.280 | 1.300 | 1.470 |
Linfonodo (mesenterico) | 0.050 | 0.146 | 0.530 | 0.489 | 0.689 | 0.985 | 1.370 |
Intestino crasso | 0.013 | 0.048 | 0.093 | 0.287 | 0.649 | 1.100 | 1.340 |
Polmoni | 0.492 | 1.210 | 1.830 | 1.500 | 1.150 | 1.040 | 1.090 |
Tiroide | 0.155 | 0.536 | 0.842 | 0.851 | 0.544 | 0.578 | 1.000 |
Plasma | 3.970 | 8.130 | 8.900 | 6.500 | 2.360 | 1.780 | 0.805 |
Linfonodo (mandibolare) | 0.064 | 0.189 | 0.290 | 0.408 | 0.534 | 0.554 | 0.727 |
Ghiandola pituitaria | 0.339 | 0.645 | 0.868 | 0.854 | 0.405 | 0.478 | 0.694 |
Osso (femore) | 0.091 | 0.195 | 0.266 | 0.276 | 0.340 | 0.342 | 0.687 |
Pancreas | 0.081 | 0.207 | 0.414 | 0.380 | 0.294 | 0.358 | 0.599 |
Cuore | 0.282 | 1.030 | 1.400 | 0.987 | 0.790 | 0.451 | 0.546 |
Utero (femmine) | 0.043 | 0.203 | 0.305 | 0.140 | 0.287 | 0.289 | 0.456 |
Reni | 0.391 | 1.160 | 2.050 | 0.924 | 0.590 | 0.426 | 0.425 |
Sangue intero | 1.970 | 4.370 | 5.400 | 3.050 | 1.310 | 0.909 | 0.420 |
Vescica urinaria | 0.041 | 0.130 | 0.146 | 0.167 | 0.148 | 0.247 | 0.365 |
Timo | 0.088 | 0.243 | 0.340 | 0.335 | 0.196 | 0.207 | 0.331 |
Testicoli (maschi) | 0.031 | 0.042 | 0.079 | 0.129 | 0.146 | 0.304 | 0.320 |
Ghiandole salivari | 0.084 | 0.193 | 0.255 | 0.220 | 0.135 | 0.170 | 0.264 |
Pelle | 0.013 | 0.208 | 0.159 | 0.145 | 0.119 | 0.157 | 0.253 |
Stomaco | 0.017 | 0.065 | 0.115 | 0.144 | 0.268 | 0.152 | 0.215 |
Muscolo | 0.021 | 0.061 | 0.084 | 0.103 | 0.096 | 0.095 | 0.192 |
Tessuto adiposo | 0.057 | 0.100 | 0.126 | 0.128 | 0.093 | 0.084 | 0.181 |
Prostata (maschi) | 0.061 | 0.091 | 0.128 | 0.157 | 0.150 | 0.183 | 0.170 |
Midollo spinale | 0.043 | 0.097 | 0.169 | 0.250 | 0.106 | 0.085 | 0.112 |
Occhi | 0.010 | 0.035 | 0.052 | 0.067 | 0.059 | 0.091 | 0.112 |
Cervello | 0.045 | 0.100 | 0.138 | 0.115 | 0.073 | 0.069 | 0.068 |
Concentrazione di LNP-mRNA ALC-0315 e ALC-0159 totale media
dopo 15min, 1h, 2h, 4h, 8h, 24h, 48h (μg eq. lipidico / g (o ml))
Lo studio Pfeizer è stato condotto sui ratti, che hanno una vita molto breve (circa 2 anni) e un metabolismo accelerato (1 “Giorno ratto” equivale a 30 “Giorni uomo”). Il tempo di completo smaltimento della proteina Spike, veicolata negli organi sensibili dalle nanoparticelle, si traduce quindi in circa 3 “Anni uomo”.
Sfortunatamente è proprio la proteina spike, prodotta dalle cellule colonizzate dal “Vaccino”, la vera colpevole, responsabile di gravi fenomeni trombotici, emorragici, autoimmuni e legati al ciclo riproduttivo femminile. Si può quindi ragionevolemte dedurre di trovarci di fronte a un fenomeno di “Castrazione chimica” su larghissima scala, dissimulata da pandemia influenzale, e macchiata del sangue di migliaia di vittime decedute entro pochi giorni dalla somministrazione della terapia genica mutante.
Siamo quindi di fronte a un deliberato e metodico sfoltimento dell’intero genere umano, come invocato a gran voce a partire dalla fine degli anni ’60? No. Così come la popolazione (e la crescita demografica) non sono distribuite uniformemente, anche la “Disinfestazione del genere umano” non è distribuita uniformemente.
Nord America e Europa esercitano una fortissima pressione per l’utilizzo esclusivo di “Vaccini” legati alla proteina Spike, e corrono, superando già l’obiettivo di oltre il 30% della popolazione inoculata. Asia e Africa procedono molto più lentamente, con meno del 10% della popolazione inoculata.
Da notare, soprattutto, che Cina e India (che insieme contano il 35% della popolazione mondiale) non somministrano la proteina-tossina Spike alla loro popolazione. I due vaccini cinesi Sinopharm e Sinovac, e il Covaxin indiano sono preparazioni tradizionali, a base di virus inattivato.
E come dovremmo interpretare poi il recente annuncio della Cina, che estende a 3 il numero massimo di figli per contrastare il calo delle nascite?
La conclusione, anche se molto sgradevole, è che non siamo NÉ TROPPI, NÉ TROPPO POCHI. Siamo solo DISTRIBUITI IN MODO ERRATO, non conforme al piano demografico del regime mondiale. Il regime mondiale vuole, e con molta urgenza, meno Nord Americani e Europei, e più Africani e Asiatici, molto più semplici da gestire, controllare, irreggimentare e schiavizzare.
Concludiamo riportando un racconto breve di Robert Sheckley del 1971, riguardo al difficile mestiere di “Giardiniere di uomini”, e un saggio breve di Isaac Asimov del 1969, con cifre e considerazioni molto precise sul problema della sovrappopolazione.
* * * * * *
Giardiniere di uomini – Robert Sheckley (1971)
I viaggiatori inesperti cercano in genere di materializzarsi di nascosto. Escono incespicando dagli sgabuzzini delle scope, dai depositi di merci, dalle cabine telefoniche, secondo quello che capita loro a tiro, e sperano disperatamente che la transizione sia andata liscia liscia. Un comportamento del genere inevitabilmente attira su di loro l’attenzione, cioè proprio quello che vorrebbero evitare.
Per un viaggiatore smaliziato come me, invece, la cosa era semplice. La mia destinazione era la New York dell’Agosto 1988. Scelsi l’ora di punta della sera e mi materializzai nel bel mezzo della folla di Times Square. Bisogna saperci fare, si sa. Uno non deve limitarsi ad apparire, devi muoverti mentre ti materializzi, la testa leggermente china e le spalle curve, un’espressione assente nello sguardo. In questo modo nessuno si accorge di te.
Ci riuscì alla perfezione e, valigie in mano, mi affrettai a saltare su un mezzo di trasporto locale. Scesi in Sheridan Square e proseguì a piedi fino a Washington Square Park.
Il punto che scelsi per me era vicino a una grossa cisterna, non lontano dall’arco di
Washington Square. Posai le valigie e battei forte le mani con fare sbrigativo. Diverse persone mi guardarono.
– Avvicinatevi amici, avvicinatevi e non perdete quest’occasione unica. Non siate timidi, venite qua e ascoltate la buona novella.
Si stava già formando una piccola folla. Un giovanotto gridò.
– Ehi, che cosa vendi?
Gli sorrisi ma non risposi. Non intendevo attaccare la mia solfa finché non avessi avuto un pubblico abbastanza numeroso, e così continuai.
– Venite qui vicino amici, venite e ascoltate quello che ho da dirvi. È quello che stavate aspettando signori, la grande occasione, l’ultima possibilità, non lasciatevela scappare.
In breve tempo ero riuscito ad attirare una trentina di persone. Pensai che per cominciare bastava così.
– Buoni cittadini di New York, desidero parlarvi dello strano male venuto a minacciare improvvisamente la vostra vita. Dell’epidemia volgarmente chiamata la Peste Blu. Dovete saperlo tutti ormai che non esiste una cura per quel morbo mortale. Lo so i vostri medici non fanno che assicurarvi che le ricerche stanno facendo passi da gigante, che la soluzione dovrebbe saltare fuori da un momento all’altro, che immancabilmente al più presto sarà scoperto un metodo per la cura. Ma resta il fatto che per la Peste Blu non esiste un siero, un anticorpo, un qualsiasi specifico. E come mai? Perché finora nessuno è stato in grado di scoprire la causa del male e meno ancora il modo di arrestarlo. A tutt’oggi la scienza non ha prodotto altro che teorie sterili e contraddittorie. Se pensiamo alla rapidità con cui dilaga, l’estrema virulenza, alle proprietà misteriosa del morbo, dobbiamo prevedere fin d’ora che i medici non riusciranno a trovare una cura per aiutare voi, i colpiti. Dovete aspettarvi quello che purtroppo si è ripetuto in tutte le epidemie che la storia ricordi, e cioè che nonostante tutti i tentativi di controllo e di cura, il male continuerà a infuriare fino a che non si esaurirà da sé, non avrà esaurito le vittime.
Nella folla qualcuno rideva e diversi ascoltavano divertiti. Attribuì la cosa a uno stato di isterismo e continuò.
– Che cosa si può fare allora? Volete forse rimanere vittime passive del morbo? Lasciarvi cullare nell’illusione da gente che non vuole rivelarvi fino a che punto sia disperata la situazione? O siete disposti a provare qualcosa di nuovo, qualcosa che non abbia il sigillo d’approvazione di una classe medico politica ormai screditata?
A questo punto avevo intorno a me una cinquantina di persone. Rapidamente terminai il mio sproloquio.
– I vostri dottori, amici miei, non possono salvarvi dalla Peste Blu, mentre io posso.
Aprii in fretta la valigia e ne tolsi una manciata di grosse capsule gialle.
– Eccolo, il farmaco che piegherà la Peste Blu, amici miei. Non c’è tempo ora di spiegare come io ne sia venuto in possesso, quale sia il suo effetto. Né vi affliggerò con paroloni
scientifici. Vi darò invece delle prove concrete.
La folla si era fatta silenziosa e attenta. Ora sì che avevo tutti in pugno.
– Come prova portatemi una persona affetta dal morbo, portatemene dieci. Se c’è ancora un po’ di vita in loro mi assumo l’impegno di guarirle dieci secondi dopo che avranno inghiottito questa capsula. Portatemele qui amici, guarirò qualsiasi uomo, donna o bambino che sia affetto dalla Peste Blu.
Il silenzio durò per alcuni secondi, poi la folla cominciò a ridere e applaudire. Stupefatto ascoltai i commenti che si levavano da ogni parte.
– Che sia un mattacchione di studente?
– Mi sembra troppo anziano per essere un hippy.
– Scommetto che lavora per uno show della TV.
– Ehi signore, è una scenetta pubblicitaria?
Ero troppo sorpreso per tentare di rispondere. Me ne stavo là, con la valigia ai piedi e le
capsule in mano. Non avevo venduto niente in quella città colpita dal morbo. Era addirittura inconcepibile.
La folla si disperse. Rimase soltanto una ragazza.
– Che specie di trovata sarebbe questa? – mi domandò.
– Trovata?
– È senza dubbio una trovata pubblicitaria, no? Forse siete qui per inaugurare un ristorante, una boutique? Andiamo, ditemelo. Forse posso scriverci un piccolo pezzo.
Mi ficcai la manciata di capsule nella tasca della giacca.
– Sentite – disse la ragazza – io lavoro per un giornale del Village. Siamo sempre alla ricerca di argomenti un po’ fuori dal comune. Andiamo, raccontatemi tutto.
Era una ragazza molto carina, giudicai che dovesse essere sui 25 anni, snella, morettina, con gli occhi castani. Mi faceva pena vederla così sicura di sé.
– Non è una trovata. Se voialtri benedetta gente non avete il buon senso di prendere precauzioni contro l’epidemia…
– Quale epidemia? – domandò.
– La Peste Blu, il morbo che si è abbattuto su New York.
– Sentite giovanotto, non c’è nessun morbo a New York, né blu, né nero, né giallo, né di un altro colore. Allora, volete decidervi a parlarmi di questa trovata?
– Non c’è un’epidemia? Ne siete proprio sicura?
– Sicurissima.
– Forse la gente viene tenuta all’oscuro. Per quanto sarebbe un po’ difficile, da 5000 a 10000 morti al giorno. Non vedo proprio come i giornali potrebbero ignorarli. Siamo nell’Agosto del 1988, no?
– Ma mi sembrate un po’ pallido, vi sentite male?
– Sto benissimo, – risposi – anche se non era vero.
– Sedetevi un momento, è meglio.
Si incamminò con me verso una panchina del parco. M’era venuto improvvisamente il dubbio che forse avevo capito male l’anno. Forse la compagnia aveva inteso alludere al 1990, o al 1998. Come dire, in tal caso, che ero costato loro un patrimonio in tariffe di viaggi nel tempo e molto probabilmente che m’ero giocato la licenza di spacciatore, col tentare di vendere farmaci in una zona non colpita. Tirai fuori il portafogli e ne sfilai il piccolo opuscolo intitolato “Il cammino della peste”. Nell’opuscolo erano elencate tutte le date delle grandi epidemie, il tipo di morbo, la percentuale di vittime e altri dati pertinenti. Con mio grande sollievo vidi che mi trovavo nel posto giusto e all’epoca giusta. New York nell’Agosto del 1988 sarebbe dovuta essere colpita da una violenta epidemia.
– Il cammino della peste? – domandò la ragazza che aveva letto il titolo dell’opuscolo – Cos’è?
Avrei dovuto allontanarmi di là, avrei dovuto addirittura smaterializzarmi. La ditta applica sanzioni molto severe nei confronti dei propagandisti che rivelano qualcosa di più delle informazioni che ci insegnano a fornire durante il corso di addestramento, ma non me ne importava niente in quel momento. Volevo solo parlare con quella bella ragazza dai capelli lustri e dall’abbigliamento un po’ bizzarro, che sedeva accanto a me al sole in una città
condannata.
– Il cammino della peste, – spiegai – è un elenco degli anni e dei luoghi in cui si sono verificate grandi epidemie, o si verificheranno, come l’epidemia di Costantinopoli nel 1346, o la peste di Londra nel 1664.
– E voi eravate presente, immagino.
– Sì, ero stato mandato dalla mia ditta, la “Servizi medici temporali”. Tra le altre cose abbiamo la licenza per vendere farmaci nelle zone infette.
– Voi allora venite da un luogo del futuro in cui esistono i viaggi nel tempo?
– Precisamente.
– Ma è meraviglioso. Il vostro mestiere è di viaggiare smerciando pillole nelle zone infette. Parola mia, non avete l’aspetto di una persona che vive alle spalle dell’infelicità altrui.
Era ben lungi dal sapere come stessero le cose, né io avevo intenzione di dirglielo.
– È un lavoro necessario.
– Sia come sia, avete trascurato il fatto che qui epidemie non ce ne sono.
– Ci sarà stato un disguido, o una specie di staffetta che ha il compito di precedermi e di andare in avanscoperta si sarà smarrita nella corrente del tempo, o chissà.
Si divertiva un mondo lei. Da parte mia trovavo macabra l’intera situazione. A meno che non fosse stata una dei pochi fortunati, quella ragazza non sarebbe sopravvissuta all’epidemia. Era la prima volta che mi intrattenevo a conversare con una vittima della peste.
– Bene, piacere di avervi conosciuto – disse la ragazza – in tutta franchezza non so se potrò scrivere quell’articolo.
– Preferirei che non lo faceste.
Estrassi di tasca una manciata di capsule.
– Vi prego, prendete queste.
– No, andiamo.
– Dico sul serio. Sono per voi e per la vostra famiglia. Prendete per favore, vi saranno utili, vedrete.
– E va bene allora, grazie infinite e buon viaggio nel tempo.
Rimasi a guardarla mentre si allontanava. Nel momento in cui girava l’angolo ebbi l’impressione che avesse lasciato cadere le capsule, ma non potevo giurarlo. Seduto sulla panchina del parco aspettai.
Era quasi mezzanotte quando finalmente George arrivò. Furente lo investì.
– Cosa è successo? Ho fatto la figura dell’idiota. Qui non c’è nessuna epidemia.
– Non te la prendere – disse George – sarei dovuto arrivare qui una settimana fa, ma poi la ditta ha ricevuto l’ordine del governo di annullare tutto per un anno. Poi è arrivato l’ordine di annullare la disposizione precedente e procedere come era stato programmato.
– E perché a me nessuno ha detto niente del rinvio?
– Infatti avrebbero dovuto avvertirti, ma c’è stata una confusione tale, capirai. Mi dispiace, credimi, ora però possiamo cominciare.
– È proprio indispensabile? – domandai.
– Che cosa?
– Lo sai benissimo.
Mi guardò.
– Di’, ma che ti succede? Non parlavi così a Londra.
– Ma quello era il 1664. Questo è il 1988, è molto più vicino al nostro tempo, e questa gente sembra più… più umana.
– Non avrai fraternizzato, spero.
– Ma no, che idea.
– Bene. Lo sai che questo lavoro può anche ripugnare dal punto di vista emotivo, ma bisogna essere realistici, lo sai. La commissione del censimento ha offerto loro possibilità di ogni genere. Hanno dato loro perfino la bomba all’idrogeno.
– Già.
– Ma non l’hanno usata. Inoltre ha dato loro tutti i mezzi per scatenare una guerra batteriologica su vasta scala e loro non hanno usato neppure quella. Poi la commissione ha fornito loro tutti i dati di cui avevano bisogno per contenere volontariamente l’aumento della popolazione, ma non hanno saputo decidersi a servirsene. Hanno continuato tranquillamente a moltiplicarsi, togliendo spazio alle altre specie, a se stessi, immiserendo e inquinando la terra, proprio come fanno sempre. Gli esseri umani sono andati al di là di ogni freno naturale, debbono provvedere da sé a limitarsi. Se non vogliono, o non possono, allora bisogna che qualcun altro intervenga.
Improvvisamente George sembrava stanco e turbato.
– Ma gli umani non vogliono vederla la necessità di sfoltirsi, non impareranno mai. Ecco perché i nostri morbi sono necessari.
– D’accordo, e allora leviamoci il pensiero.
– Circa il venti per cento di loro sopravviverà questa volta.
Credo che ritenesse necessario rassicurarmi. Estrasse di tasca una fiaschetta piatta, d’argento. La stappò, si allontanò di qualche passo, e andò a versarne il contenuto in un tombino.
– Ecco fatto. Potrai cominciare a vendere capsule entro una settimana. Dopo di che il nostro programma prevede soste a Londra, Parigi, Roma, Istanbul, Bombay e così via.
Certo, bisognava farlo, ma è dura a volte essere un giardiniere di uomini.
Morte per progressione geometrica – Isaac Asimov (1969)
Il problema può essere definito con una sola parola: sovrappopolazione.
Sono molti a lamentare quella che comunemente viene chiamata esplosione demografica, ma pochi lo fanno in termini chiari, per cui le loro preoccupazioni vengono generalmente spazzate via dagli indifferenti e dagli ottimisti. Le argomentazioni di questi ultimi sono assai semplici, addirittura semplicistiche: la popolazione è sempre andata crescendo, ma con la popolazione è anche aumentato il tenore di vita, quindi, perché preoccuparsi?
Dopo tutto, più braccia e più menti significano anche più lavoro e più inventiva, quindi maggior progresso. Un milione di uomini possono fare molto più di cento uomini e la somma delle loro qualità compenserà in eccesso tutte le aumentate difficoltà nate dall’interazione di un milione di individui paragonati a quelle di cento individui.
I risultati cui siamo giunti ne sono la dimostrazione più evidente. Si valuta che la popolazione del nostro pianeta nel 1969 sia di circa tre miliardi e mezzo, questa è naturalmente la cifra più elevata che sia mai stata raggiunta nella storia della Terra.
Questo non significa che non ci siano uomini, centinaia di milioni di uomini, i quali soffrano costantemente la fame, centinaia di milioni di uomini che vivono oppressi, spaventati e schiavizzati. Ma è anche vero che in passato la situazione era persino peggiore.
E allora? Perché preoccuparsi? Perché non sperare che la popolazione e il livello di vita continueranno a crescere in modo armonico e parallelo?
Questo atteggiamento, queste opinioni, mi ricordano invariabilmente la storia dell’uomo che stava cadendo dall’alro dell’Empire State Building. All’altezza del decimo piano sembra che qualcuno l’abbia sentito mormorare: “Ebbene, sono caduto per novanta piani e in fondo non sto mica poi tanto male!”
Esaminiamo dunque, insieme la storia del nostro pianeta dal punto di vista demografico, e desumiamone tutte le informazioni che è possibile trarne.
Gli studiosi di ecologia pensano che, nel periodo precedente l’introduzione dell’agricoltura, gli alimenti che si potevano ottenere con la caccia, la pesca e raccogliendo frutta e bacche selvatiche, potevano nutrire soltanto una popolazione mondiale che non oltrepassasse i 20 milioni, ed è anche molto probabile appunto che la popolazione totale della Terra, nell’età della pietra, non abbia mai raggiunto più di un terzo o al massimo la metà di tale cifra.
Questo significa che intorno al 6.000 a. C., la popolazione mondiale non oltrepassava probabilmente i 6 o al massimo i 10 milioni di uomini, grosso modo la popolazione odierna di New York, o di Shanghai o di Tokio (Quando venne scoperta l’America, si pensa che la popolazione indiana la quale occupava quello che attualmente è il territorio degli Stati Uniti non oltrepassasse le 250.000 persone, il che significherebbe attualmente immaginare la popolazione di una cittadina come Dayton nell’Ohio, sparsa per tutta la nazione statunitense).
Con l’introduzione dell’agricoltura è verosimile che si sia verificato il primo grosso aumento della popolazione terrestre, quando le grandi civiltà rivierasche sorte lungo il corso del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate, dell’Indo, applicando i primi principi dell’irrigazione, diedero inizio alla coltivazione che venne quindi a soppiantare l’antico sistema di raccogliere il cibo offerto dalla natura.
Questo naturalmente rese possibile lo stabilirsi in quelle zone di insediamenti umani assai più densi di quanto non fosse mai avvenuto prima.
Da allora, l’incremento della popolazione è andato parallelo con la conquista di nuove terre all’agricoltura. Con l’inizio dell’età del bronzo, si valuta che la popolazione mondiale avesse raggiunto i 25 milioni. Durante l’età del ferro, è probabile che si aggirasse sui 70 milioni.
All’inizio dell’era cristiana, la popolazione mondiale era probabilmente intorno ai 150 milioni, di cui un terzo circa era concentrato entro i limiti dell’impero romano, un altro terzo viveva nell’impero cinese, e il resto sparso per il rimanente della Terra.
La caduta dell’impero romano significò un declino della popolazione locale, gli effetti peggiori si concentrarono nell’Europa occidentale, ma è alquanto dubbio che si sia avuto un effettivo calo demografico. Inoltre, intorno all’anno 1000, quando impararono a ferrare il cavallo, a passargli il morso, e inventarono l’aratro, gli uomini riuscirono a trasformare le foreste fredde e umide dell’Europa nord-occidentale in terreno coltivabile. Intorno al 1600 la popolazione mondiale aveva ormai raggiunto i 500 milioni di individui.
Gli esploratori europei aprirono all’agricoltura altri 46 milioni di chilometri quadrati, scoprendo nuove terre in America e altrove. Nel frattempo la rivoluzione industriale aveva meccanizzato l’agricoltura, per cui era venuta a cadere la antica necessaria proporzione tra la popolazione e gli uomini dediti all’agricoltura. L’agricoltura progredì sempre più, mettendosi in grado di fornire il sostentamento a un numero sempre maggiore di persone per ogni acro coltivato. Verso il 1800, la popolazione mondiale raggiunse i 900 milioni, nel 1900 salì a 1.600 milioni, nel 1950 era già oltre i 2.500 milioni e nel 1969, come abbiamo già detto prima, si valuta che la popolazione mondiale sia di 3 miliardi e mezzo.
Studiando insieme queste cifre, cerchiamo di valutare quanto tempo è stato necessario, nei vari periodi storici, perché la popolazione del nostro pianeta raddoppiasse.
Sino al I secolo d. C., la popolazione mondiale raddoppiava in media ogni 1.400 anni. Un ritmo alquanto lento se considerate che ci vorrebbe una generazione, cioè circa 33 anni, perché si verificasse lo stesso fenomeno, solo se ogni coppia avesse quattro figli e poi morisse. Come mai? Possibile che i nostri antenati non sapessero come avere figli?
Evidentemente non è questa la spiegazione. Avevano figli con la medesima facilità con cui li abbiamo noi oggi, ma il guaio era che la maggior parte dei bambini moriva prima di raggiungere i cinque anni di età. A quell’epoca era persino raro, per coloro che oltrepassavano i cinque anni di età, diventare adulti, e ci voleva una buona dose di fortuna perché quei pochi che ce la facevano, vivessero sino ai trentatré anni.
Tutta la letteratura mondiale riecheggia dell’inesorabile brevità della vita, ma i tempi sono cambiati e noi abbiamo ormai dimenticato, o non siamo più capaci di interpretare quanto ci hanno tramandato i nostri avi.
Nell’“Iliade”, Omero ci narra di Nestore che “Era sopravvissuto a due intere generazioni di suoi sudditi e governava sulla terza”. E noi, naturalmente, pensiamo subito che Nestore doveva essere, allora, una specie di Matusalemme. Ma non era così. In quell’epoca Nestore aveva probabilmente circa sessant’anni, età venerabile per quel periodo, e più che sufficiente per sopravvivere ai padri, ai figli dei propri sudditi, e riuscire a governare sui nipoti.
La maggior parte delle società antiche erano governate dagli “Anziani”. I romani avevano il senato, composto dai senatori, cioè da uomini “Vecchi”, basti notare che la parola senile deriva dalla medesima radice di senato e senatore. Si pensa oggi in genere che queste società fossero governate da vegliardi dalla barba bianca.
Sciocchezze! In quelle antiche società tutti gli uomini che avevano oltrepassata la soglia dei trentacinque anni erano considerati vecchi. Se volete una prova interessante di quanto sto affermando, basterà che ricordiate che per appartenere al senato degli Stati Uniti, il club degli anziani in America, bisogna avere l’età minima di trent’anni. Ai padri fondatori, nel 1787, questa età era sembrata sufficientemente avanzata. Se oggi dovessimo fissare la soglia della vecchiaia, scommetto che partiremmo, almeno dai quarantanni, a essere pessimisti.
Anche all’epoca di Shakespeare la nozione di vecchiaia era assai dissimile dalla nostra. Il “Riccardo II” comincia con queste parole: “Il vecchio John of Gaunt, dell’onorato casato dei Lancaster…” e sulle nostre scene il “Vecchio John of Gaunt” è invariabilmente rappresentato come un vegliardo di almeno 150 anni che riesce a stento a trascinarsi barcollante sul palcoscenico. In realtà, nel periodo in cui è ambientata l’azione del “Riccardo II”, il vecchio onorato membro del casato dei Lancaster aveva 58 anni.
Si potrebbe forse pensare che Shakespeare non lo sapesse. Ma, in un’altra tragedia, il “Re Lear”, il duca di Kent, a un certo punto, parlando di sé dice: “Ho quarantotto anni sulle spalle” e più avanti nella tragedia, si parla di lui come di un “Vecchio” briccone.
Si può quindi comprendere perché il primo comandamento divino all’umanità, tramandatoci dalla Bibbia sia stato “Andate, crescete, moltiplicatevi e popolate la terra…” (Genesi, 1:28).
Nelle condizioni in cui vivevano i nostri antenati, se non fossero stati fecondi e non si fossero moltiplicati, non avrebbero potuto sopravvivere. Solo avendo il maggior numero possibile di figli potevano avere la certezza che qualcuno di questi sarebbe vissuto abbastanza per avere a sua volta numerosi figli assicurando così la sopravvivenza della specie.
Ma i tempi sono mutati. La terra è popolata, e non è più necessario essere straordinariamente fecondi per essere certi che almeno alcuni sopravviveranno. Coloro che considerano queste parole della Bibbia applicabili a qualunque condizione di vita e insistono per seguire letteralmente l’insegnamento, anche se le condizioni attuali sono completamente modificate, recano un enorme danno all’umanità. Se parlassi in termini biblici direi che sono al servizio del diavolo.
Con il miglioramento delle condizioni di vita e il diminuire del tasso di mortalità, la durata della vita è aumentata e il tempo necessario per raddoppiare la popolazione mondiale è diventato sempre più breve. Eccovi la mia valutazione del tempo necessario per raddoppiare la popolazione del nostro pianeta nei vari periodi storici:
sino al 100 d. C. | 1.400 anni |
dal 100 al 1600 | 900 anni |
dal 1600 al 1800 | 250 anni |
dal 1800 al 1900 | 90 anni |
dal 1900 al 1950 | 75 anni |
dal 1950 al 1969 | 47 anni |
Potete quindi notare che non è solo la popolazione che sta aumentando; cresce anche il tasso con cui aumenta la popolazione. È questo che rende la nostra situazione esplosiva.
Non solo. La situazione è peggiore in quelle zone che meno si possono permettere questa esplosione demografica. Nelle Filippine, per esempio, il tasso corrente di incremento è tale per cui bastano 22 anni perché la popolazione raddoppi.
Questa diminuzione del tempo necessario al raddoppiamento della popolazione è stata provocata da una diminuzione non controbilanciata del tasso di mortalità. Anche il tasso della natalità è sceso, ma non abbastanza per compensare la diminuzione della mortalità, e non è comunque sceso molto in quelle zone della terra che sono “Sottosviluppate”.
Cosa possiamo fare, adesso?
Per potere prendere delle decisioni, dobbiamo prima renderci chiaramente conto che non è possibile lasciare che le cose vadano avanti in questo modo. E così dicendo non intendo affermare che non si deve permettere assolutamente che il tempo necessario per raddoppiare la popolazione diminuisca ancora, ma voglio dire molto di più, e cioè che è indispensabile fare in modo di abbassare il livello a cui questo aumento di popolazione è ormai giunto.
Certo ci sono gli ottimisti (e date le circostanze mi costa parecchio definire certa gente con questo termine, dato che, secondo me, l’appellativo più adatto a loro è “Idioti”) i quali credono che se mettiamo fine alle guerre, ristabiliamo la pace nel mondo, e facciamo progredire la scienza, potremo assorbire l’incremento della popolazione.
Secondo loro si tratterebbe solamente di affrontare da un punto di vista più scientifico la coltivazione della terra, usando con intelligenza i migliori fertilizzanti, di riuscire a trarre dall’oceano tutta l’acqua, gli alimenti e i minerali che contiene, di sviluppare la potenza atomica, di sfruttare l’energia solare. Si potrà così mantenere facilmente una popolazione molto più numerosa dell’attuale. Ho sentito affermare che la Terra, trattata in questo modo utopistico potrebbe dare asilo confortevole a 50 miliardi di esseri umani.
Ma dopo? Cosa bisognerà fare per evitare che la popolazione mondiale oltrepassi questa cifra? Non sarà necessario introdurre la regolamentazione delle nascite? In altre parole, persino il più ottimista degli uomini i non può negare la necessità di giungere alla fine, al controllo delle nascite, e si accontenta momentaneamente per ora di affermare “Che non siamo ancora in questa situazione”.
È possibile che quest’uomo tanto ottimista pensi che il momento in cui la popolazione mondiale raggiungerà i 50 miliardi (o qualunque altra cifra limite lui abbia stabilito) sia così lontano per cui non è il caso che ci si preoccupi? Oppure, peggio ancora, pensa che quando si sarà raggiunta quella cifra, ulteriori progressi scientifici renderanno possibile alla Terra di ospitare un numero ancora maggiore di abitanti, andando avanti così indefinitamente nel futuro?
Se tale è il suo pensiero, allora l’“Ottimista” non ha la più pallida idea di come si sviluppa una progressione geometrica. In realtà ben poche persone lo sanno, per cui tenterò ora di illustrare la rapidità di incremento di una progressione geometrica.
Visto che la popolazione mondiale è di 3 miliardi e mezzo e poiché raddoppia ai nostri tempi a una velocità di una volta ogni 47 anni, possiamo scrivere l’equazione seguente: 3.500.000.000*(2^(x/47)) = y.
Questa equazione ci dice il numero degli anni (x) che saranno necessari per giungere alla popolazione mondiale (y), supponendo che la velocità con cui la popolazione raddoppia rimanga assolutamente costante. Se vogliamo risolvere la prima equazione, otteniamo: x = 156*(log(y)-9,54) Supponete di chiedervi ora quanto tempo ci vorrà perché la popolazione mondiale raggiunga i 50 miliardi, quella folla, cioè, che secondo gli ottimisti può facilmente essere ospitata dalla Terra.
Ebbene, se poniamo y uguale a 50 miliardi, allora il logaritmo di y è 10,70 e x è uguale a 182 anni.
In altre parole, se si mantiene costante l’attuale tempo necessario perché la popolazione mondiale raddoppi, giungeremo ad avere sulla Terra una popolazione mondiale di 50 miliardi verso il 2151.
È necessaria una dose più che massiccia di ottimismo per pensare che un lasso di tempo praticamente uguale all’attuale esistenza della costituzione americana (sei generazioni) saremo capaci di abolire la guerra e organizzare quel mondo utopistico di cui si parlava prima, capace di ospitare una popolazione incrementata, sino a quei limiti.
Saremo ancora più vicini a una catastrofe colossale se dovesse capitare qualche guaio quando 50 miliardi di abitanti ingombreranno la Terra, di quanto non lo siamo ora con i nostri tre miliardi e mezzo.
E se poi la popolazione dovesse aumentare e superare i 50 miliardi? Potremo sempre sperare che la scienza ci offra il modo di permettere alla popolazione di aumentare. Fino a quando potremo lasciare aumentare il numero degli abitanti del nostro pianeta in un futuro ragionevolmente prossimo?
Continuiamo a ragionare…
L’isola di Manhattan ha un’area di circa 57 chilometri quadrati, e una popolazione di 1.750.000 abitanti. Durante un giorno feriale, quando dalle zone limitrofe giungono a Manhattan altre persone, per ragioni di lavoro, la popolazione sale rapidamente, e raggiunge almeno i 2.200.000, per cui la densità della popolazione tocca i 100.000 abitanti ogni 2 chilometri quadrati e mezzo.
Supponete che tutta la Terra fosse così densamente popolata come Manhattan all’ora di punta, supponete che il deserto del Sahara fosse altrettanto densamente coperto di esseri umani, e le montagne dell’Himalaya, e l’Antartide, e qualunque angolo della nostra Terra fosse ugualmente fitto di abitanti. Supponete che si gettino delle zattere sugli oceani, e che queste zattere fossero affollate con la stessa proporzione di Manhattan…
La superficie totale del nostro pianeta è di 510 milioni di chilometri quadrati. Se fosse tutto affollato come l’isola di Manhattan nelle ore di punta, la popolazione mondiale sarebbe di 20.000 miliardi, ossia 20 trilioni. Quanto tempo ci vorrebbe per raggiungere questa cifra?
Come vi dice la seconda equazione, la risposta è sorprendentemente modesta. Pensate! Ci vorranno solamente 585 anni! Per l’anno 2554, se il tasso di aumento rimane quello odierno, la superficie della Terra sarà interamente popolata come l’isola di Manhattan.
Ma naturalmente vi verrà fatto di pensare che questo lungo ragionamento non tenga ancora conto di tutti gli elementi. Bene. In fondo sono uno scrittore di fantascienza, a volte, e so tutto quello che c’è da sapere sui viaggi interplanetari. Sicuramente quando saremo giunti all’anno 2554 gli uomini staranno andando a spasso per il sistema solare, e potranno quindi stabilirsi sugli altri pianeti che potranno servire egregiamente ad assorbire l’eccedente della popolazione terrestre.
Mi dispiace, ma non funziona.
Nei prossimi 47 anni si dovrebbe riuscire a trasportare sulla Luna, su Marte o altrove tre miliardi e mezzo di persone per mantenere lo “Status quo” sulla Terra.
Qualcuno pensa veramente che saremo in grado di farlo tra 47 anni? Qualcuno pensa veramente che la Luna e Marte o qualche altro pianeta potranno essere organizzati in modo da ospitare tre miliardi e mezzo di esseri umani, seppure riusciremo a trasportarceli?
Andiamo pure avanti e continuiamo a fare ipotesi. Esistono 135.000 milioni di stelle nella galassia. Alcune di queste stelle hanno forse dei pianeti abitabili su cui l’uomo potrebbe adattarsi a vivere senza che siano necessari enormi lavori organizzativi e tecnici.
Naturalmente non è probabile che si riesca a trovare e raggiungere questi pianeti né ora né in un prevedibile futuro, ma supponiamo che lo si possa fare. Supponiamo che si possano trasferire gli esseri umani istantaneamente verso qualunque pianeta si desideri semplicemente facendo schioccare le dita e senza più dispendio di energia. E supponiamo che esista una incredibile ricchezza di pianeti abitabili nella galassia, e che ogni stella della galassia abbia dieci pianeti. Ci sarebbero allora 1.350.000.000.000 pianeti abitabili nella galassia.
Supponiamo inoltre che lo stesso fosse vero per tutte le galassie e che (secondo il calcolo di alcuni scienziati) ci siano cento miliardi di galassie. Questo significa che ci sarebbero in tutto 135.000.000.000.000.000.000 pianeti abitabili.
Continuando a far schioccare le dita e a trasferire esseri umani sino a quando tutti questi pianeti fossero popolati con la densità di Manhattan, la popolazione totale mondiale giungerebbe allora a 2.700.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000, ossia: 2,7 trilioni di trilioni di trilioni.
Ma quanto tempo sarà necessario per raggiungere questa cifra straordinaria? Parlando di miliardi di miliardi di miliardi di esseri umani può far pensare che ci vogliano milioni di anni per riuscire a riempire l’universo in questo modo assurdo e inverosimile. Se lo pensate veramente è perché non avete ancora compreso quanto è spaventoso il procedere della progressione geometrica.
Al ritmo attuale dell’aumento della popolazione ci vorranno solamente 4.200 anni per raggiungere una popolazione di 2,7 trilioni di trilioni di trilioni. Intorno all’anno 6170 avremo affollato tutti gli angoli abitabili dell’universo. Ogni stella di ogni galassia avrà ognuno dei suoi dieci pianeti coperto con una popolazione che raggiunge in ogni chilometro quadrato la stessa densità che si riscontra oggi a Manhattan nell’ora di punta.
E non è finito.
Supponiamo che uno straordinario progresso scientifico ci permetta di trasformare l’universo in alimento e di cercare in tutto l’iperspazio l’energia necessaria. Quanto tempo credete che sarà necessario per trasformare tutto l’universo conosciuto in sangue e carne umana? Il sole ha una massa di 4,4 milioni di trilioni di trilioni di libbre: se valutiamo a 110 libbre il peso medio di un corpo umano, troviamo che se il sole dovesse venire trasformato in esseri umani si otterrebbe una popolazione di 40.000 trilioni di trilioni.
Moltiplichiamo questa ultima cifra per 135 miliardi, per trasformare tutta la galassia in persone, moltiplichiamo ancora per 100, tanto per comprendere anche polvere e detriti che esistono nell’universo, oltre alle stelle e ai pianeti, e la massa totale dell’universo trasformata in persone darebbe una popolazione di 54.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000, ovvero: 54.000 trilioni di trilioni di trilioni di trilioni.
Quanto ci vorrà, tornando alla nostra progressione geometrica, per raggiungere questo risultato? Ormai credo proprio che non avrete più conservato molte speranze. Ci vorranno 6.700 anni; per cui, giunti all’anno 8700 del Signore, se continuiamo di questo passo avremo consumato tutto l’universo.
In altre parole, la scienza, qualunque sia il progresso che potrà raggiungere, non potrà sostenere a lungo l’onere di una tale esplosione demografica.
Naturalmente siamo assolutamente certi che non riusciremo a moltiplicarci secondo l’attuale tasso di incremento demografico sino a consumare l’intero universo, e neppure sino a sovraffollare la superficie di tutti i pianeti. Credo proprio che sarete d’accordo nel ritenere che l’ottimismo più illimitato ci potrà solo portare sino al superaffollamento della Terra con una densità media simile a quella di Manhattan nell’ora di punta.
Questo però significa che abbiamo come estremo limite di tempo per porre riparo a una tale situazione solo sino all’anno 2554: ci rimangono quindi poco più di cinque secoli e mezzo.
Qualunque misura o avvenimento che diminuisca il tasso di incremento demografico, o che lo abolisca addirittura, dandoci una popolazione relativamente stabile “Deve” avvenire prima del 2554, e non dico “Dovrebbe”, o “Sarebbe bene che”, o “Potrebbe”, dico deliberatamente che “Deve” avvenire.
Abbiamo tutto questo tempo? Cosa significa veramente un pianeta Terra affollato come Manhattan a mezzogiorno?
Si valuta che la massa totale di cose viventi sulla Terra sia di 20 trilioni di tonnellate, e che la massa totale di umanità sulla Terra sia di circa 200 milioni di tonnellate. L’umanità rappresenta l’1 per centomila della massa totale di vita sul nostro pianeta. Una proporzione già piuttosto alta per una sola specie.
Tutto il mondo vivente dipende (a eccezione di pochi batteri) dalla fotosintesi delle piante. Gli animali possono sopravvivere saccheggiando l’energia chimica (alimenti) prodotta dalle piante con l’aiuto dell’energia solare. Persino quegli animali che mangiano altri animali, vivono perché gli animali che servono loro da alimentazione a loro volta mangiano piante – o se anche a loro volta mangiano altri animali, questi ultimi si nutrono del mondo vegetale. Per quanto la catena possa allungarsi, essa termina, comunque, nel mondo vegetale.
Si pensa che la massa totale di un consumatore nella catena dell’alimentazione debba essere solo di un decimo rispetto alla massa totale di quello che viene assorbito, se i due debbono sopravvivere a un livello stabile. Questo significa che tutta la vita animale sulla Terra ha una massa di 2 trilioni di tonnellate, e che la massa dell’umanità è l’1 per centomila.
Poiché la radiazione solare è fissa, ed è anche fissa l’efficienza del processo di fotosintesi, la nostra Terra può sopportare solo quel dato quantitativo di vita animale. Quando la popolazione umana aumenta in massa di una tonnellata, la massa di vita animale non umana deve diminuire per fare posto all’uomo.
Quanto tempo ci vorrà perché la razza umana aumenti sino a giungere a ridurre al minimo vitale la massa di vita animale? La risposta è: 624 anni.
In altre parole, quando la Terra sarà giunta a un sovraffollamento simile a quello di Manhattan, avremo dovuto uccidere tutta la vita animale sul nostro pianeta. Tutta la fauna sarà scomparsa: non ci saranno più pesci nel mare, uccelli in cielo, vermi nel suolo. E saranno scomparsi anche tutti i nostri animali domestici, dai cavalli alle galline, dai gatti ai cani, tutti sacrificati sull’altare della procreazione umana.
(Conservatori, pensateci, e ricordate sempre che se aumenta la popolazione umana, la vita animale deve diminuire, e né la nostra pietà, né l’intelligenza o le lacrime potranno nulla. Se volete battervi giustamente per la vostra idea, conservatori, lottate, lottate per il controllo delle nascite.)
Ma uccidere la vita animale non è che un aspetto del problema. Tutta la flora dovrà essere trasformata in piante per l’alimentazione, lasciando solo un margine minimo per le piante non commestibili. Quando il nostro pianeta sarà trasformato in una enorme Manhattan – tutto un pianeta ridotto a un enorme edificio per uffici – l’unica forma vivente rimasta oltre all’essere umano, saranno quelle piccole cellule nei serbatoi di alghe che ricopriranno i tetti di questo edificio.
Teoricamente potremmo imparare a utilizzare l’energia solare e a convertirla in alimenti sintetici senza l’aiuto della flora naturale, ma pensiamo veramente di riuscire a farlo a livello sufficiente per alimentare una popolazione di 20 trilioni entro i prossimi cinque o sei secoli? Non lo credo.
E non si tratta solo di un problema alimentare. A che punto saranno, allora, le nostre risorse? Con una popolazione di 3 miliardi e mezzo, e l’attuale sviluppo tecnologico, stiamo sfruttando al limite il nostro suolo, giungendo all’esaurimento dei minerali, distruggendo il nostro patrimonio forestale, consumando carbone e petrolio con una rapidità spaventosa. Ricordatevi che con l’aumento della popolazione aumenta anche il livello tecnologico, e quindi aumenta ancora più rapidamente il consumo delle risorse. Si valuta che quando la popolazione degli Stati Uniti avrà raddoppiato, il consumo dell’energia sarà aumentato di sette volte.
E cosa dire a proposito della polluzione? Con una popolazione attuale di 3 miliardi e mezzo, e all’attuale livello di progresso tecnologico, stiamo avvelenando la terra, il mare, l’atmosfera in modo assai pericoloso. Cosa faremo tra un secolo, quando la popolazione avrà raggiunto i 14 miliardi e l’ammontare dei rifiuti della produzione sarà diventato 50 volte più abbondante?
Questi problemi non sono forse insolubili, se non li lasciamo crescere a dismisura, e anche allora, pure con grandi difficoltà, potrebbero comunque essere affrontati. Ma come poterli risolvere se ogni anno peggiora il rapporto risorse-consumo e produzione-rifiuti, come sta avvenendo attualmente?
E infine, cosa ne sarà della dignità umana?
Come pensare che potremo vivere dignitosamente quando affolleremo ogni casa, ogni strada, ogni pezzetto di terra? Quando mancherà lo spazio, quando scomparirà ogni possibilità di vita privata, nasceranno innumerevoli possibilità di attrito che sfoceranno inevitabilmente in irritazione e odio, e che andranno crescendo con l’aumento demografico.
Ripensando a tutto quanto è stato detto, non credo che si possa rischiare di permettere all’umanità di aumentare al tasso di incremento attuale neppure per una sola altra generazione. Dobbiamo assolutamente raggiungere un livello stabile di popolazione mondiale entro le prime decadi del XXI secolo.
E sono sicuro che in un modo o nell’altro lo faremo. Se non agiamo, se lasciamo che gli avvenimenti seguano il loro corso naturale, l’aumento della popolazione sarà bloccato da un inevitabile aumento della mortalità dovuto a guerre e a sommosse scatenate dalla disperazione, e dall’aumentare di violenti attriti tra gli esseri umani, dalle epidemie che l’affollamento e il decadimento tecnologico renderanno inevitabili, dalle carestie provocate dalla mancanza di una sufficiente riserva di cibo.
La sola alternativa ragionevole è ridurre la natalità. Anche questa, naturalmente, diminuirà da sé quando il sovraffollamento e la fame renderanno meno efficiente la procreazione. Ma dobbiamo proprio aspettare di essere giunti a una situazione così drammatica? Se continuiamo ad aspettare, prevedo che la carestia comincerà a colpire paesi come l’India e l’Indonesia intorno al 1980.
In poche parole brutali: nel prossimo futuro dell’uomo si delinea una gara tra l’aumento della mortalità e la diminuzione della natalità, e verso l’anno 2000, se, com’è auspicabile, la seconda alternativa non si sarà imposta all’umanità, sarà la morte a vincere.